Oriolo (Kàstron Ortzoulon, Κάστρον Ορζουλόν in greco bizantino) è un comune italiano di 2232 abitanti i della provincia di Cosenza, in Calabria. Di origine remote, nacque come fortezza a difesa dei cittadini scappati dalle coste per rifugiarsi dalle continue incursioni dei saraceni.
Arroccato su uno sperone a circa 500 metri d’altezza, conserva uno splendido borgo medievale intatto, con belle facciate di palazzi nobiliari, sulla strada principale che porta al castello aragonese. Fu feudo dapprima dei Sanseverino da Salerno, per poi passare nel XVI secolo, ai marchesi Pignone del Carretto.
Fino al secondo dopoguerra il paese aveva una popolazione di circa 5000 abitanti, ed era il maggiore centro dell’Alto Jonio e punto di riferimento per i paesi dell’Arberia (albanesi) e del Pollino, ha visto quasi dimezzare la sua popolazione, che è arrivata a circa 2600 abitanti.
Dal 2016 fa parte del club de I borghi più belli d’Italia.
Dall’età antica all’alto Medioevo
Il geografo greco Strabone cita il fiume Siri parlando della guerra sostenuta dai Tarantini, quando questi ultimi assoldarono Alessandro il Molosso, re dell’Epiro e zio di Alessandro Magno.
Il “kastron” di Oriolo era all’incrocio fra il valico montano che da Pandosia Bruzia attraversava la Lagaria, Serra Maiori, il territorio di Oriolo, fino a Sibari, oltre il Pollino, e la strada di penetrazione lungo la valle dell’Acalandro.
L’attuale città fortificata venne costruita per difendersi da eventuali invasioni saracene. È tristemente nota quella di Abbas Ibn Fadhl, poi sconfitto da Ludovico II, e Niceforo Foca. Un’altra più feroce invasione fu quella di Ibrahim Ibn Ahmed, che mise a ferro e fuoco la Calabria, soprattutto lungo la costa. Giorgio Toscano, nella sua ” Storia di Oriolo ” (1695), probabilmente si riferiva a questo periodo per affermare che le popolazioni della costa, per non essere sterminate dagli infedeli, si ritrassero “sotto lo scoglio” di Oriolo, insediandosi nella contrada Ravita. Poi costruirono abitazioni a più piani… ” che cinsero con mura merlate”. Resti di dette mura erano visibili anni addietro soprattutto a SW dell’attuale Centro Storico. Nel periodo bizantino il consolidamento dello stato, la nuova organizzazione sociale, la ripresa economica, il fervore monastico, recano un rinnovamento profondo e trionfante(Quilici). Il territorio ” si copre di una fitta rete di abitati, di città; i nuovi insediamenti bizantini dei kastra e degli oppida, il carattere dell’espansione agraria legata al sistema delle torri e dei casali fortificati testimoniano la fitta maglia di tutela alla pace del territorio. “(Quilici-Siris Heraclea)
Atti notarili fino al 1139 chiaramente parlano del kastro di Oriolo. Nell’atto il nome di Oriolo è riportato come “kastron Ourtzoulon” (in greco bizantino Κάστρον Ορτζουλόν). Negli atti successivi è riportato come “kastron Ourzoulon” (1117), “Ortzoulon” (1131), Orgilon (1132), Orghiolon (1186), Ordeolum (1221-atto di donazione di Federico II di Svevia). Nel settembre del 1117 Mabilia, contessa di Oriolo, donò al monastero della SS. Trinità di Cava, al suo abate Pietro ed agli altri fedeli la chiesa di S. Pietro di Bragalla con i casali e tutte le pertinenze che possedeva nell’ambito del territorio di Oriolo. Con l’abbandono dei territori da parte di Bisanzio cominciò la loro latinizzazione e subentrarono le monarchie normanne.
Il basso Medioevo
Intorno all’anno Mille Oriolo era già una “civitas” e, per come detto, sede notarile; infatti l’atto del 1015 si conclude:” sottoscritto da me Leone notaiodella città di Oriolo “. Della grandezza e importanza di Oriolo se ne ha riconferma da una bolla del Papa Alessandro II del 13 aprile 1068 inviata ad Arnaldo, arcivescovo di Acerenza. Risultano appartenenti alla Sede metropolitica le “città” di Venosa, Montemilone, Potenza,…Gravina, Matera, Tursi… VIROLO (Oriolo), con i castelli, pagliai, agglomerati urbani minori, monasteri e cittadini. (Italia Pontificia, IX, pag. 456; Ughelli (Tomo VII,37); Nigro- “Memorie…sulla città di Tursi).
Nel 1129 Oriolo venne cinta d’assedio e presa da re Ruggero. ” Fu nuovamente teatro d’armi lo stesso anno “.(Quilici, Siris Heraclea)
Con un atto del 24 aprile 1221 Federico II di Svevia donò al monastero dei Cistercensi di Santa Maria del Sagittario “una grandiosa foresta” nel territorio di Oriolo. Nel 1679 ancora alcuni cittadini di Oriolo corrispondevano il terraggio al cardinale Vidone, Commendatario dell’abbazia del Sagittario. Nel 1246 Oriolo era tenuto in subfeudo da Ruggero De Amicis, come è dichiarato da un protocollo del 10 gennaio 1277. Ruggero De Amicis, “feudatario di Cerchiara, Albidona, Orioli”, era uno degli alti funzionari siciliani più in vista e fu da ultimo Gran Giustiziere. Partecipò alla congiura contro Federico II insieme a Pandolfo di Fasanella, vicario generale in Toscana, ed ai fratelli Morra. La congiura venne scoperta da Riccardo di Caserta e ai congiurati vennero confiscati i beni. Ruggero morì nel 1248 e, quindi, fu il figlio Corrado ad essere reintegrato nella baronia di Oriolo dopo il perdono di Federico.
È opportuno ricordare Ruggero De Amicis anche per il suo contributo alla Scuola Siciliana; si scambiava, infatti, versi e ballate con Rinaldo d’Aquino, uno dei maggiori rappresentanti di detta Scuola “fra i più grandi nella corte di Federico”.
Nel 1265 Oriolo era posseduto da Carlo II d’Angiò. Dai registri angioini del 1276 si evince che Oriolo contava 1025 abitanti. Nel 1278 era signore di Oriolo Calgono della Marra.
I Sanseverino
I Della Marra mantennero il possesso feudale fino all’inizio del XV secolo. Oriolo, infatti, nel 1403 era già posseduto dai Sanseverino, principi di Salerno e Grandi di Spagna, i quali, però, capeggiarono una congiura e il feudo venne incamerato dalla Regia Corte. Oriolo continuò ad essere demanio regio sotto Giovanna I, re Ladislao, e Giovanna II. Alla morte di Ladislao (1414) i cittadini di Oriolo si ribellarono. La regina Giovanna, con atto del 14 ottobre 1414, concesse l’indulto e in seguito dette agli oriolesi il privilegio di essere esenti dalla giurisdizione dei regi governatori e dal Giustizierato della Provincia di Vallograto e Terra Giordana.
Il 3 giugno 1428 Ludovico III “compatendo i danni subiti dalla Università a causa delle guerre con incendi, distruzione di case, riconoscendo la diminuzione della popolazione per il trasferimento in altri luoghi ” e soprattutto per la fedeltà e la devozione alla corona, concedeva numerosi sgravi fiscali. Negli atti di Ludovico III non c’era più la dicitura:” della nostra terra di Oriolo”, ma semplicemente “Terrae Ordeoli” a significare che era estinta la giurisdizione regia. Cominciava quella baronale; infatti il feudo di Oriolo passò poi ai Sanseverino che si macchiarono nuovamente del reato di ribellione ma, “ridotti alla fedeltà”, in data 17 gennaio 1461, supplicarono il re affinché “si degnasse di fare indulto ad essi, Signori sudditi e vassalli”. Chiesero ancora la riconferma e la nuova concessione delle città, terre e castelli, dei beni burgensatici e feudali.
Ferdinando I d’Aragona, detto Ferrante, restituì i beni ai Sanseverino, dando a Giovanna la Terra di Diano, a Roberto il principato di Salerno, a Barnabò Corigliano, Casalnuovo, Amendolara ed Oriolo in Calabria Citra. Durante la guerra fra Carlo V e Francesco I Oriolo subì per 25 giorni l’assedio delle truppe francesi, comandate dal generale Odet de Foix, visconte di Lautrec (1485-1528).
Successivamente Francesco I venne sconfitto da Carlo V, che ridonò il feudo ai Sanseverino. Dopo l’ennesima congiura, nel 1552, l’imperatore Carlo V processò e dichiarò fellone Ferdinando Sanseverino, colpevole di “lesa maestà”. Il feudo di Oriolo venne incamerato dalla Regia Camera della Sommaria e poi venduto a Marcello Pignone, presidente della stessa. Con decreto del 1º luglio 1553 la Regia Camera fece la liquidazione delle rendite dei corpi feudali della Terra di Oriolo e dei suoi casali. L’atto di vendita venne poi confermato e ratificato da Filippo II il 12 aprile 1558.
I Pignone Del Carretto
Con il matrimonio fra Aurelio Leone e Costanza di Sangro del Carretto i Pignone diventarono Pignone del Carretto. Nel 1571 un folto gruppo di Oriolesi partecipò alla battaglia di Lepanto. È doveroso ricordare Michele Angelo d’Uva che, insieme ad altri volontari, seguì Don Giovanni d’Austria, figlio di Carlo V. A ricordo venne introdotta in Oriolo la devozione e la festa della Vergine del Rosario, celebrata la prima domenica di ottobre. Nel 1647, durante la nota rivoluzione di Masaniello, i rivoltosi oriolesi occuparono il castello, danneggiando suppellettili e saccheggiando tutto, dopo aver costretto il Pignone ad arrendersi.
L’ 8 gennaio 1693 un evento tellurico interessò tutta la Calabria ed anche Oriolo, ma la struttura urbanistica del borgo resse alle scosse. Gabriele Barrio nel suo “Antichità e luoghi della Calabria” così descriveva Oriolo: ” Quindi vi è la cittadella di Riolo, su una roccia, in posizione elevata; intorno ad essa sovrastano i monti… vi si produce un vino rinomato, ci cresce anche il cotone “. Oriolo, a partire dalla formazione della sua struttura urbanistica civile, impreziosì nei secoli il suo tessuto urbano con cellule finalizzate al culto religioso. Alcune di queste erano e sono rimaste dei veri e propri monumenti nazionali, ma di alcune strutture rimangono solo i resti che però archeologicamente testimoniano l’importanza e l’efficace presenza storica.
La vita religiosa in Oriolo ebbe la massima fioritura nel 1700. Esistevano allora 6 cappelle laicali, 3 congregazioni ed 1 confraternita. L’ultima confraternita, quella di S. Giorgio, sopravviveva ancora nel 1926-29, avendo allora donato una campana ancora oggi esistente e situata sui resti dell’antico campanile. Fra le principali opere pie ricordiamo S. Maria le Virtù, S. Rocco, S. Giuseppe, l’Annunciata, S. Michele, il Pio Monte dei Morti con un ammontare dell'” annuo censo lordo di 57 ducati e grana 68 ” (1819).
L’Ottocento
Un’altra circostanza importante è la lettera di Giuseppe Garibaldi indirizzata a Giuseppe Pignone del Carretto il 10 settembre del 1860, ignorata fino ad oggi e portata alla pubblica attenzione da Vincenzo Diego, già vicesindaco di Oriolo, alla vigilia del 150º anniversario dell’Unità d’Italia [I gigli recisi, Giuseppe Pignone del Carretto e la fine del regno borbonico per i tipi Porfidio Editore]. La parte che ci riguarda da vicino è il periodo che va dal 27 gennaio del 1857 al 10 settembre del 1860. In quest’arco di tempo il marchese di Oriolo e principe di Alessandria, Giuseppe Pignone che nasce l’8 maggio del 1813, tra le mura della fortezza di Oriolo, è sindaco di Napoli. Ferdinando II, seguendo la tradizione di porre a capo della città patrizi napoletani, lo aveva chiamato, dopo alcuni mesi di interregno, a succedere a Don Antonio Caraffa di Noja. In tre anni il sindaco Pignone si occupò della Capitale, come in pochi fecero nel passato; scrisse tra le altre cose anche il cerimoniale della Casa Regnante, ma fu soprattutto il Sindaco della transizione tra il vecchio ordine e il nuovo, come scrisse in una lettera Liborio Romano, ex ministro borbonico e dall’8 settembre 1860 capo del governo del nuovo corso. Il Marchese di Oriolo si trovò a dover fronteggiare, assieme ai rappresentanti del Governo borbonico, una situazione delicatissima. Bisognava gestire l’ingresso di Garibaldi nella capitale del Regno, evitando tumulti e spargimenti di sangue, così come raccomandato dal Re. Il 7 di settembre Pignone, assieme al generale De Sauget, comandante della Guardia Nazionale, si recò a Salerno e dopo una tumultuosa riunione, dove si misero a punto gli ultimi accordi col generale delle camicie rosse, si partì per raggiungere Cava dei Tirreni, alle 11, per poi salire sul treno con destinazione Napoli. Il compito del Marchese di Oriolo terminò con l’arrivo di Giuseppe Garibaldi nella città che fu di Francesco II. Poche ore dopo, il giorno 8, il Sindaco rassegnò le dimissioni. Garibaldi avrebbe voluto mantenere il Principe D’Alessandria al suo posto, ma Pignone aveva giurato fedeltà al Re. Allora, il 9 settembre, Garibaldi, con decreto, nomina il suo successore, Andrea Colonna, ma al Sindaco che si ritirava gli indirizzò una lettera, pubblicata anche negli “Atti del Governo”, dove si leggono l’ammirazione e la gratitudine del Dittatore nei confronti di un uomo coerente (uno dei pochi) e capace; secondo altri, invece, Pignone fu un opportunista. Il Regno delle Due Sicilie, anche con il contributo di un figlio di Oriolo e dell’Alto Ionio, si avviava a diventare parte di un nuovo Regno, quello d’Italia. Una nuova avventura per milioni di meridionali, un’avventura che ancora oggi, a quasi 150 anni, fa discutere, ma che nel bene o nel male ha segnato la vita sociale, economica e politica del meridione e del nostro Paese. Il Principe di Alessandria e Marchese di Oriolo si spense a Portici nel 1894. I solenni funerali furono celebrati nella Regia Cappella monumentale del tesoro di San Gennaro.
Dopo la nomina del nuovo sindaco in persona di Andrea Colonna, avvenuta il giorno 9 settembre, Garibaldi diresse al coerente sindaco che si ritirava questa lettera molto onorevole:
Il Novecento
Nel 1931 Oriolo raggiunse i 5000 abitanti ed era allora il centro più popolato dell’Alto Jonio. Dal Medioevo fino agli anni sessanta del Novecento Oriolo era il maggiore centro dell’Alto Ionio Cosentino, in quanto era l’unico centro della zona in cui era presente l’istruzione superiore ed era l’unico paese montano ad avere un distretto sanitario ed alti servizi di base, per cui era punto di riferimento sia dell’Alto Ionio che del Pollino. Oriolo ha visto dimezzare la sua popolazione in poco più di mezzo secolo, che oggi ammonta a 2700 abitanti circa ma, nonostante ciò mantiene la vocazione turistica già sviluppata dalla seconda metà del Novecento, anche grazie al Teatro all’aperto “La Portella” , che ogni anno attira spettatori da tutta la Calabria e da fuori, per ammirare spettacoli teatrali nella splendida cornice della Rupe del Rione Terra.