Nella rete delle torri di guardia e dei castelli, costruiti lungo la costa e nell’entroterra calabrese dell’Alto Jonio, una delle più significative strutture, attualmente ben conservate, è certamente il castello-fortezza di Oriolo (CS). Culmina il Centro storico di cui è il manufatto più importante insieme alla Chiesa di S. Giorgio martire. Venne abbandonato in periodo barbarico per aver perso la sua funzione di difesa delle vie commerciali e ricostruito in periodo bizantino sulla pianta del primitivo impianto.
La necessità della sua ricostruzione fu dettata dall’esigenza di difendersi da eventuali invasioni saracene. La città fortificata, già di per sé sicura, aveva bisogno di un centro di difesa che la rendesse inespugnabile. Inizialmente il castello aveva quattro torri angolari cilindriche ed il mastio, attorno a cui si snodava il corpo di fabbrica. Oggi, insieme alla vecchia struttura, restano tre torri,compreso il mastio. Dalla metà dell’800 manca un piano,come si evince da un esame attento del sottotetto, come ancora è viva la memoria storica del crollo, negli anni trenta, di un terzo del manufatto. L’abbassamento in altezza della struttura fu dettata da motivi sismici. Il periodo normanno, maggiormente interessato alla costruzione di fortezze, fu quello di Roberto il Guiscardo che, conquistata la Calabria, intorno al 1050 e dopo l’accordo di Melfi del 1059 con Papa Niccolò II, divenne Duca di Puglia e di Calabria. Fino al 1085, anno della morte, Roberto spese tutte le sue forze per fortificare il regno. Nel 1265 era già posseduto da Carlo II d’ Angiò. Dopo la rivolta dei baroni cui era parte integrante il Signore di Oriolo, Barnabò Sanseverino, il castello passò ai Pignone.
Nel 1647 giunse in Oriolo l’eco della rivolta di Masaniello e il castello, trovatosi al centro della sommossa, venne assediato dai rivoltosi. Così descrive la rivolta Giorgio Toscano:” Assediato il castello e preso qualche posto sicuro per la Terra, acciocchè il Marchese non potesse uscire, ed assentarsi altrove cominciarono a venire al fatto d’armi, a segno d’archibuggiarsi con que’ del Castello. S’adattarono i Popolisti a prendere per loro sicuro posto il Campanile della Chiesa,che gareggiava all’altezza delle finestre del Castello…Ridicola fu la proposta di menare il Castello a terra, con una mina da parte di Belvedere,quando essendo tutto vivo sasso, nè anche l’intiero Esercito di Serse, avrebbe potuto intaccare o cavare minima parte…il Marchese si risolvè a capitolare la sua resa” ed uscì…”dal Castello, purchè a sé, ed a suoi non fosse fatto minimo oltraggio, e per altro sottoporsi ad ogni loro volere…Conchiusa detta capitolazione si vidde una mattina scendere dal Castello detto Marchese, moglie, e figli..e dopo fu condotto nella stabilita stanza;…ma udite stravaganze e mutazioni! Quelle laute mense del Castello,ove assetati in sedie di velluto, erano pratticate e calcate da rozzi Villani Scarponari e Coppoloni, i quali attendevano a crapolare e far brindisi, e il povero Marchese con sua Famiglia sguazzavano di malpetenza sopra tavole mal composte,e seggiole di legno… ” Ripristinato l’ordine nel Regno di Napoli, i Pignone tornarono e rimasero a Oriolo, con sede stabile nel castello.
— a cura del Prof.Vincenzo Toscani —